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martedì 5 maggio 2009

Percorsi: Val di Chiana e Val d'Orcia




Una gioia per gli occhi e per il cuore: Tyler ed io ci scherziamo su, ma tra le perfette colline verdi, le distese di promettenti vigne e le macchie di fiori gialli a perdita d'occhio che incontriamo sulla strada del Chianti dei Colli Senesi, ci commuoviamo davvero...
Alloggiamo al Borgo Dolciano, tra Chiusi e Chianciano, ma il nostro giro inizia da Montepulciano, dove, come ogni primo di Maggio, si svolge la fiera annuale del paese. C'è parecchia gente, così tanta che il borgo sembra rimanere nascosto sotto il fiume di persone che lo sta attraversando. Una volta giunti faticosamente in centro, ci rifugiamo tra i cunicoli delle cantine dell'azienda agricola Ercolani, dove assaggiamo ed acquistiamo prodotti locali.



Per l'ora di cena, invece, torniamo verso Chiusi: troviamo un tavolo al rinomato ristorante Zaira, e ci accomodiamo. La sala è grande, e l'arredamento e la musica profusa nell'ambiente danno l'impressione di essere catapultati alla fine degli anni settanta, o giù di lì. La cameriera che ci serve è solerte, ma un po' sgarbata. Come antipasto prendiamo un misto di salumi e dei pomodori secchi, e beviamo vino rosso dei colli senesi, cioè della casa. Fin qui tutto bene, mentre sui primi, Tyler ed io incappiamo in alterne fortune: i miei fazzoletti della contadina (delle crepes ai fughi porcini) sono squisiti, mentre la sua zuppa, contadina anch'essa, è tiepida e poco saporita, peccato. Siamo nel cuore della Val di Chiana, e non posso esimermi dal provare il controfiletto alle erbette, cotto alla perfezione, e non rinuncio neanche al dolce, un'ottima torta meringata, mentre Tyler, ancora deluso dalla zuppa, mi guarda basito. Il conto è onesto.



La mattina seguente, complice il cielo azzurro, decidiamo di spingerci fino a Siena. Dopo un aperitivo a base di prosecco alle spalle di Piazza del Campo, girando per il centro scopriamo il ristorante Due Porte, che dalla parte opposta all'entrata custodisce gelosamente una splendida terrazza con vista sulla cinta senese. Dopo aver gustato il panorama, che potrebbe tranquillamente essere una voce del menù, tanto è bello, ci dedichiamo all'antipasto, quello della casa, che comprende un generoso assortimento di salumi e di crostini. Della casa anche il vino rosso, che da queste parti è una garanzia. Devoto alla tradizione, ordino dei pici al ragù di cinghiale, mentre Tyler si lascia tentare dal tavolo vicino, e prende le penne al salmone. Dato che abbiamo ancora della strada da fare, decidiamo di non appesantirci troppo, e ci fermiamo qui. Spendiamo poco, per la cronaca. Riprendiamo la strada per la Val d'Orcia, e visitiamo Pienza e San Quirico d'Orcia, prima di arrenderci ad un improvviso e violento acquazzone. Torniamo alla base, ci riposiamo un 'oretta, quindi di nuovo fuori: stasera offre l'agriturismo che ci ospita. Nel pacchetto che abbiamo scelto, infatti, è compresa una tipica cena toscana presso un ristorante di Chianciano, Il Casale.



Il posto, sperduto nella vallata che scende ai piedi della cittadina termale, è molto bello. Certo, a caval donato non si guarda in bocca, ma le premesse non sembrano affatto male. Il menù sarà una sorpresa, nel senso che è già stato tutto scelto, e noi lo scopriremo un po' alla volta: crostini toscani per iniziare, poi ravioli pere e parmigiano (ottimi) e pici al ragù (ancora), arrosto di vitello e pollo alla brace, il tutto accompagnato da un buon rosso locale. E per finire, tiramisù e caffè. Non ci possiamo proprio lamentare, ed infatti ce ne andiamo soddisfatti ed appagati.
L'indomani è già domenica, è ora di lasciare Borgo Dolciano, ma prima di tornare a Roma, c'è ancora tempo per visitare Montalcino, dove acquistiamo altre specialità locali, alimentari e non, da portare a casa.



Sulla strada del ritorno, ci fermiamo di nuovo a Pienza, dove Tyler ha lasciato il cuore: qui i ristoranti sono tutti al completo, ma alla fine troviamo posto allo Sperone Nudo, un locale piccolo e semplice, ma di sostanza. Il menù è quello tipico della zona: antipasto goloso con salumi, formaggi e crostini, pici e gnocchi (cacio e pepe per me, ragù per Tyler), ed in più un discreto assortimento di dolci, dal quale scelgo un'eccellente torta al cioccolato fondente e pere. Il tutto a prezzi più che decenti.
Lasciamo la Toscana percorrendo la Cassia, dove non c'è traffico ma c'è tanto da guardare, e strizziamo l'occhio ad una delle prossime, possibili mete, il lago di Bolsena...

Ristorante Zaira (Via Arunte, 12 – Chiusi, Siena)
Ristorante Due Porte (Via Stalloreggi, 62/64 – Siena)
Ristorante Al Casale (Via delle Cavine e Valli, 36 – Chianciano Terme, Siena)
Ristorante Sperone Nudo (Via G. Marconi, 3 – Pienza, Siena)

domenica 17 agosto 2008

Percorsi: dalla Salaria alla Flaminia




L’intento è questo: sfuggire al traffico ferragostano seguendo le strade consolari, oggi diventate provinciali, ma ancora ricche di fascino, evitando accuratamente autostrade e caselli. Si parte dalla Salaria, l’antica via del commercio del sale, verso Ascoli Piceno. Per l’ora di pranzo siamo dalle parti di Amatrice, e per quanto mi renda assolutamente conto della banalità dell’idea che ho avuto, propongo al mio compagno di viaggio Tyler di fermarci a mangiare un piatto di pasta da queste parti. Dopo aver parcheggiato lungo il corso principale, ci lasciamo ispirare dall’insegna del ristorante Ma-Trù. Ci sediamo ad un tavolo traballante collocato in una nicchia, ed all’inizio ci sentiamo un po’ abbandonati a causa della lentezza del servizio. Ma basta poco per capire che si tratta solo di ritmi rallentati rispetto a quelli della città, e ci adeguiamo in fretta, con piacere. Ordiniamo un antipasto misto di affettati e verdure gratinate, un classico piatti di spaghetti all’amatriciana per me e un filetto di manzo per Tyler. Beviamo vino bianco locale. Sarà la suggestione del posto, delle origini e della tradizione ma la pasta è ottima: al dente, semplice, perfetta. Anche la carne è di buona qualità. Il conto poi, specie se confrontato coi prezzi che ormai siamo abituati a pagare a Roma, fa quasi sorridere. Ci rimettiamo in cammino sulla Salaria alla volta di Ascoli Piceno, dove conservo lontane radici che ogni tanto mi curo di annaffiare. Arriviamo con calma nel pomeriggio, e ci sistemiamo in un accogliente albergo consigliatoci da un barbuto agente di viaggi, proprio a due passi da Piazza del Popolo. Dopo un aperitivo in Piazza Arrigo, ci lasciamo tentare dal ristorante Non Solo Crudo, che promette una cucina creativa di pesce. Scegliamo un vino bianco locale, un Pecorino Crivellino di Offida, piccolo centro culturale alle porte di Ascoli, e lasciamo che lo chef ci guidi in una degustazione di assaggi. Mangiamo delle melecche (le code dei gamberi sgusciate) ai carciofi ed agli agrumi, insalata di polpo, gamberi al balsamico, una frittura di pesce con delle squisite olive all’ascolana farcite col pesce, un’ottima variazione sul tema. La cena è veloce e piacevole, il servizio informale ma accurato, il conto onesto.



Freschi e riposati dalla notte trascorsa all’Albergo Piceno, riprendiamo la Salaria fino al suo punto d’arrivo, a San Benedetto del Tronto, e quindi prendiamo la strada statale 16 Adriatica, in direzione del Cònero. Visitiamo Numana, Sirolo e Portonovo, località splendide ma troppo affollate in questi giorni, perciò ci spostiamo all’interno. Facciamo una sosta a Recanati, poi ci dirigiamo verso Macerata, dove decidiamo di fermarci per la notte. Dopo aver trovato un albergo, usciamo a fare un giro: quello che colpisce è il silenzio quasi irreale che avvolge questa città. Ci concediamo uno sfizioso aperitivo a base di vino Pecorino ghiacciato e crostini misti alla Botte Gaia in Piazza Mazzini, poi andiamo a cena all’Osteria dei Fiori, dove, ci dicono, potremo gustare una rivisitazione delle tradizionali ricette tipiche della zona. Prendiamo una bottiglia di Verdicchio, ed ordiniamo un antipasto misto della casa, una “panzanella maceratese” con ciauscolo e mentuccia, dei “vincisgrassi” (le lasagne marchigiane), del coniglio in porchetta ed una panna cotta guarnita con la sapa, la salsa di vino cotto che si prepara da queste parti. La qualità delle materie prime e della cucina è buona, ma le preparazioni sono piuttosto classiche, e nient’affatto creative, come in realtà ci saremmo aspettati. Restiamo un po’ delusi. Per fortuna il conto è in linea con gli altri posti in cui siamo stati.



È ferragosto. Macerata è ancora più deserta e silenziosa della sera precedente, e Tyler ed io ne approfittiamo per ammirare in pace una mostra d’arte sul tema della seduzione. Prendiamo un tè freddo nell’unico punto della città dove sembra sia concentrata un po’ di vita, e sulle note di Alright dei Supergrass, diffusa dagli altoparlanti del cafè, programmiamo la giornata: prenotiamo una camera in un agriturismo nei pressi di Urbino, e ci mettiamo in marcia alle volte del Montefeltro. Quando è quasi ora di pranzo, Tyler, incuriosito dalle origini galliche del luogo, propone una sosta a Senigallia. L’impatto è subito positivo: nonostante sia il 15 di Agosto, si respira un’aria tranquilla e rilassata. Vogliosi di un bicchiere di vino e di uno spuntino, ci lasciamo tentare da un’insegna che è tutta un programma: Osteria del Tempo Perso… Vado in avanscoperta, scendo delle scalette e scopro un locale accogliente ed ancora deserto. Mi accoglie un oste gentile, magro e scavato che ricorda Nick Cave. Le cose si mettono bene, penso. Avverto Tyler e gli dico di scendere, ci sarà da divertirsi. Ci sediamo in un tavolo all’angolo, prendiamo una bottiglia di Verdicchio, e ci lasciamo tentare dalle specialità della casa: un carpaccio d’oca con mandorle e rucola, ed una caprese di mozzarella e pesche, fresca ed insolita. L’appetito vien mangiando, ed ordiniamo anche un piatto di ravioli con bufala, pachino e basilico. Il cibo è gustoso, il buon Nick è simpatico, l’atmosfera d’altri tempi. Si sta bene davvero, qui. Quasi quasi ci dispiace andar via. Paghiamo, il giusto, e ripartiamo. Nel primo pomeriggio arriviamo nelle campagne urbinati, diretti verso Miniera. Ci mettiamo un po’ per trovare la strada, ma quello che ci si apre davanti è un mondo a parte: un piccolo casale recante il proclama “Lavoratori di tutto il mondo unitevi” ci annuncia che si tratta di una località sorta nei pressi di un’antica miniera di zolfo attiva per un secolo, che dava lavoro ad oltre cinquecento operai. Si ha l’impressione di trovarsi in una comune, lontani dalle regole e dai ritmi della vita moderna. L’agriturismo dove faremo tappa, La Corte della Miniera, sorge proprio nell’area dei vecchi giacimenti, e ne riqualifica rispettosamente le strutture. L’accoglienza che ci viene riservata è un po’ distratta, forse a causa del notevole affollamento per il pranzo di ferragosto. Il posto però è davvero suggestivo: gli elementi industriali creano un contrasto insolito con le colline circostanti. Nonostante il tempo vada peggiorando fino a trasformarsi nel più classico degli acquazzoni estivi, decidiamo comunque di fare un giro ad Urbino, e la città ducale delude le nostre aspettative. Per la cena, dopo aver chiesto in giro qualche consiglio, scegliamo un posto poco fuori le mura; si tratta dell’Hostaria a Fuoco Lento, in cima alla strada delle Cesane. Le sale sono intime ed eleganti, e Tyler ed io abbiamo subito l’impressione di essere capitati nel posto giusto. Il maltempo ha reso l’aria del Montefeltro fresca e frizzante, e così cediamo alla tentazione di assaggiare il vino rosso della casa. Cominciamo la cena con un antipasto misto composto da sfiziosi assaggi di cucina creativa, quindi ordiniamo degli gnocchi al pesto di noci, una ricetta tipica urbinate, ed una bistecca fiorentina, dato che a quanto pare, la specialità del ristorante è la carne locale. Ed infatti, la scelta si rivela vincente: la qualità e la cottura sono eccezionali, la presentazione invitante. Probabilmente “la migliore bistecca che abbia mai mangiato” sentenzia Tyler, che di carne se ne intende. Concludiamo il pasto con una mousse al cioccolato fondente ed una tisana allo zenzero. Il conto da pagare, tanto per cambiare, è decisamente concorrenziale: non oso pensare a quello che avremmo speso a Roma per mangiare della carne come questa…



Giusto il tempo di fermarci nel centro di Urbino per acquistare dei prodotti tipici da portare via, e sotto un cielo ancora incerto, lasciamo il Montefeltro e prendiamo la Flaminia, che ci porta in direzione dell’Umbria. Quando i primi languori cominciano a farsi sentire, effettuiamo l’ultima digressione di questa gita: alla riscoperta delle radici di Tyler, questa volta arriviamo a Gubbio, la città dei matti. Ci arrampichiamo per le stradine che salgono verso l’alto, alla ricerca di un posto dove mangiare che non sembri troppo turistico. La scelta ricade sulla Trattoria S. Martino, che a vederla da fuori, sembra proprio fare al caso nostro. Ci accomodiamo ad un tavolo all’aperto, e mangiamo crostini al tartufo nero, fettuccine al ragù d’anatra, tagliata di manzo, salsicce eugubine con patate arrosto, e beviamo vino rosso della casa. Il tutto sempre, decisamente a buon mercato. Ora è davvero giunto il momento di tornare a casa, riprendiamo la Flaminia e ci dirigiamo verso Roma, chiudendo il cerchio.


• Ristorante Ma-Trù (Corso Umberto, 17 – Amatrice, Rieti)
Non Solo Crudo (Via Cino del Duca, 24 – Ascoli Piceno)
• La Botte Gaia (Piazza Mazzini, 1 – Macerata)
Osteria dei Fiori (Via Lauro Rossi, 61 – Macerata)
• Osteria del Tempo Perso (Via Mastai, 53 – Senigallia, Ancona)
Hostaria a Fuoco Lento (Via S.P. delle Cesane, 25 - località San Donato, Urbino)
• Trattoria S. Martino (Piazza G. Bruno, 6 – Gubbio, Perugia)