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lunedì 4 giugno 2012

Percorsi: Barcellona





Questa volta Tyler ed io ci ritroviamo a Barcellona per seguire l'imminente apertura della gelateria di due nostri amici, Gocce di Latte, nella centralissima Plau del Palau. Quando arriviamo, la giornata volge ormai al termine, e nei locali della gelateria c'è ancora il caos, ma siamo fiduciosi, e le prove di gelato che assaggiamo promettono bene. A pochi metri da Gocce di Latte, sempre in Plau del Palau, si trova un ristorante di tapas (uno dei tanti che affollano la città catalana), Lonja de Tapas, prima fermata del nostro personale percorso gastronomico. Per la scelta ci affidiamo ai nostri amici, i quali ordinano patatas bravas (patate fritte servite con salsa all'aglio e paprika, un vero must di Barcellona), polpo alla gallega, pimientos de padrón (piccoli peperoni verdi simili ai friggitelli nostrani), mojama (tonno secco) con le mandorle, il tutto accompagnato da pan tomate, una sorta di panzanella croccante. Stimolato dalla ricchezza della carta, mi permetto di aggiungere del camembert fritto accompagnato da una salsa ai frutti di bosco. Da bere, una ricercatezza: birra Estrella Damm Inedit, una cerveza dal sapore fresco ed agrumato, ideata nientemeno che da Ferran Adrià, lo chef del celebre ristorante El Bulli, ora trasformato in una fondazione. Le tapas sono sfiziose, buone e ben presentate, tanto che alcune si meritano addirittura un bis. Per chiudere, e non poteva essere altrimenti, la crema catalana. Il conto alla fine è più che onesto, meno di 20 euro a testa.





Il mattino seguente, Tyler ed io seguiamo le tracce (numerose e per nulla nascoste) dell'opera di Gaudí, e salendo dal centro della città verso la collina che ospita il Parco Güell, ci fermiano per uno spuntino alla Plaza del Sol, nell'incantevole quartiere di Gracia. Sotto un rigoglioso albero di magnolia, troviamo un tavolo libero appartenente al piccolo locale Sol Soler, dove un cameriere ci accoglie in perfetta lingua italiana. Ordiniamo delle crocchette miste, una (ottima) quiche al tonno ed olive, ed ancora patatas bravas (un pochino troppo unte, in verità) e pan tomate, più acqua e birra, il tutto per circa 25 euro.

La sera, a cena, i nostri amici gelatai impongono una decisa svolta orientale, portandoci al ristorante Wok all'Arc de Triomf, locale che propone cucina giapponese a buffet contaminata in modo discreto con qualche tocco locale, come il maki fritto servito con salsa aioli. Mentre Tyler si butta sulla soia in tutte le sue declinazioni, io mangio prevalentemente sushi (solo di tonno e salmone, per fortuna i miei preferiti), per il quale val bene un'attesa al bancone. Comprese le bevande (acqua e birra nipponica) spendiamo meno di 18 euro a testa.



A Roma c'è un ristorante di pesce (anzi, per la verità sono già diventati due) del quale si parla molto, Fish Market. Ebbene, pare che la formula sia stata importata proprio da Barcellona, e più precisamente da La Paradeta. Quando (dopo aver smaltito una lunga fila) si entra nel locale, infatti, sembra di essere veramente al banco del mercato, con il pescato che fa bella mostra di se. Si compra a peso, proprio come avviene quando si va a fare la spesa, ma invece di portare il pesce a casa, si sceglie come farlo cucinare (fritto, o alla piastra), si aspetta il proprio turno seduti al tavolo, e quando è pronto si ritirano i piatti al bancone. Mangiamo chipirones (una sorta di moscardini, una specialità catalana) fritti, cannolicchi, e poi seppie, calamari e squisiti polipetti alla piastra. Un modo inconsueto e se vogliamo spartano di mangiare pesce, ma il conto, vino compreso, è di circa 15 euro a testa.



Scherzando e ridendo, e mangiando, è arrivato l'ultimo giorno di questa nostro viaggio a Barcellona, e visto che oramai ci muoviamo per il centro con una certa disinvoltura, i nostri amici gelatai ci affidano una commissione: acquistare dello zenzero. Tyler ed io ci dirigiamo quindi verso la Boqueria, pittoresco mercato nel centro della città, a due passi dalla Rambla. Una volta reperita la radice, e soprattutto fatto il pieno di odori e colori, decidiamo di fermarci a pranzo presso un piccolo locale nascosto in un vicoletto al lato del mercato, chiamato più che adeguatamente Petit Boqueria. Il cameriere che ci serve è italiano (di Modena, comprensibilmente turbato per il sisma che sta tormentando l'Emilia), il cibo è spagnolo e gradevole: le immancabili patatas bravas, ancora pan tomate (forse il migliore della nostra breve esperienza), un generosa fetta di tortilla e del baccalà fritto, il tutto per poco più di 30 euro, birra ed acqua incluse.



La sera a cena si corre la tappa conclusiva di questa esperienza gastronomica catalana. Stavolta però niente specialità spagnole, ma una trovata che, come quella de La Paradeta, potrebbe essere replicata con successo anche dalle nostre parti, se adeguatamente riveduta e corretta: si tratta dell'hamburguesería Kiosko. La formula è la seguente: mentre si fa la fila per arrivare alla cassa, si compila un modulo prestampato per l'ordinazione, scegliendo tra i vari tipi di hamburger disponibili e le possibili varianti (con o senza pane, con l'aggiunta di ingredienti extra). Il concetto in se è piuttosto interessante, se non fosse che il posto è così piccolo che, anche una volta giunto il proprio turno, si rischia di rimanere in piedi proprio mentre il tuo piatto sta arrivando. Per evitare che questo accada, ci sediamo sugli sgabelli dei banconi sistemati proprio dove gli avventori sono in coda per presentare il modulo, una sistemazione tutt'altro che comoda. E non è finita più: quando finalmente sulla ruota di Barcellona esce il nostro numero (il 7, per la cronaca, ndr), una delle ordinazioni è sbagliata, ed a causa di una certa arroganza del personale, ci vogliono molto tempo e tanta pazienza perchè a Tyler portino finalmente il suo hamburger classico con pane integrale, tanto che il mio asturiano, che pure è piuttosto gustoso, è ormai freddo quando possiamo cominciare a mangiare. Un vero peccato, perchè se perchè la qualità degli ingredienti e l'idea di base sono decisamente interessanti, ed i prezzi onesti (si mangia con 10 euro a testa), la struttura del locale ed il servizio non sono assolutamente all'altezza.

Nonostante il finale un po' movimentato, questi giorni passati a Barcellona hanno confermato quanto di buono avevamo provato a Bilbao e San Sebastiàn, rafforzando la convinzione che la cucina spagnola meriti davvero grande considerazione.
Ah, nel frattempo la gelateria Gocce di Latte ha aperto i battenti, e sta andando alla grande!




Gocce di Latte (Pla del Palau, 4 - Barcellona, Spagna)
Lonja de Tapas (Pla del Palau, 7 - Barcellona, Spagna)
• Sol Soler (Plaza del Sol, 21 - Barcellona, Spagna)
Wok Arc de Triomf (Passeig de Lluis Companys, 19 - Barcellona, Spagna)
La Paradeta (Carrer Comercial, 7 - Barcellona, Spagna)
Petit Boqueria (Carrer de la Petxina, 5/7 - Barcellona, Spagna)
Kiosko Burger (Marquès de l'Argentera, 1 Bis - Barcellona, Spagna)

domenica 6 novembre 2011

Assaggi: Bir&Fud




Apparentemente, il Bir&Fud può sembrare una semplice birreria, per quanto attenta alla qualità delle birre artigianali. In realtà, dietro a questa sigla c'è tutta la passione di Glass Hostaria e di Gabriele Bonci. E scusate se è poco. Quando il locale muoveva i primi passi, nel 2007, spesso ci si andava per pranzo, e dopo una lunga assenza, finalmente ci torniamo per cena. La sala interna è affollata e chiassosa, ma previa prenotazione ci accomodiamo ad un tavolo molto ampio, dove si sta fin troppo larghi. Un cameriere dall'evidente accento straniero, solerte e gentile, ci illustra i piatti del giorno: alla fine delle contrattazioni la nostra tavolata si divide a metà, con una parte legata alla tradizione (bruschetta al pomodoro, pizza margherita), ed un'altra invece incline alla sperimentazione dei fuori menù (rivisitazione di fish & chips, calzone Porco Pistacchio). Manco a dirlo, Tyler ed io siamo equamente divisi nei due schieramenti. Da bere, dietro suggerimento del sudetto cameriere, un'ottima birra weiss scura, la Voodoo (ma peccato che non sia disponibile una carta dettagliata delle birre artigianali, in modo da poter curiosare e scegliere con calma).


Nonostante il ristorante sia pieno, gli antipasti arrivano subito, ed il mio fish & chips, presentato nel cartoccio come quello tradizionale ed arricchito con una salsa ai cetrioli servita a parte, è davvero sfizioso. Buona e ricca anche la bruschetta. Il servizio si conferma molto veloce ed anche pizze e calzoni non ci mettono molto a giungere in tavola: l'impasto delle pizze è eccezionale (c'è la mano di Bonci e si vede), mentre il calzone, ricco ed abbondante di mortadella, bufala e pomodori secchi, e guarnito con pesto di pistacchio e riduzione di balsamico, è originale e molto equlibrato nel gusto. Peccato solo che mi sia stato servito tiepido e non caldo, ma ogni singolo ingrediente rivela la grande cura nella scelta delle materie prime. Particolarmente satollo di cotanto calzone, mi vedo costretto a rinunciare al dessert, nonchè al caffè, dato che per scelta non viene servito (e qui evidentemente c'è lo zampino del Glass), e così giungiamo direttamente al conto, che si dimostra assolutamente onesto, poco più di 20 euro a testa.

Bir&Fud (Via Benedetta, 23 - Roma)

venerdì 28 ottobre 2011

Assaggi: McDonald's e Gualtiero Marchesi, seconda parte




Nell'insolita partita tra lo chef Marchesi e McDonald's, alla fine del primo tempo eravamo rimasti sul due ad uno per il Gualtiero nazionale. Con l'arrivo nei ristoranti del panino Adagio, il secondo della serie, si gioca la parte conclusiva della sfida. La cosa che colpisce maggiormente al primo assaggio è che l'Adagio non sembra un panino di McDonald's: ne l'olfatto ne tantomeno il gusto, infatti, nel bene o nel male, offrono indicazioni immediatamente riconducibili ai canoni della catena statunitense. Non necessariamente un punto a sfavore, e nel dubbio fa due a due. Dopo aver constatato che il pane alle mandorle ha la stessa fragranza di quello del Vivace (anche se in verità la frutta secca non si sente granchè), apro il panino per controllarne l'interno, e mio malgrado scopro che, nonostante nella foto di presentazione (nonchè nella descrizione della ricetta sul sito ufficiale di McDonald's) fosse bene in vista, non c'è traccia del pomodoro fresco: potrebbe sembrare un clamoroso autogol di Marchesi, ma poi penso che più probabilmente si è trattato di un involontario tentativo di sabotaggio, ed annullo la segnatura per palese irregolarità. Un vero peccato, comunque, perchè se le melanzane e la ricotta salata conferiscono all'insieme un carattere deciso, l'assenza del pomodoro rende vano il tentativo ambizioso di ricreare le sensazioni della pasta alla norma in un hamburger.
La gara si avvia la conclusione, ed il risultato finale di parità non scontenta nessuno: i puristi della grande cucina italiana avranno storto il naso, ma in fondo l'iniziativa, se presa per quello che è, ovvero un'inaspettata divagazione sul tema fast-food, si è rivelata piacevole. Tra i due panini, meglio il primo, il Vivace: un panino McDonald's in tutto e per tutto, nella forma, nell'odore e nel sapore, ma con un qualcosa in più.

lunedì 10 ottobre 2011

Assaggi: McDonald's e Gualtiero Marchesi, prima parte




Premetto di non aver nulla contro i fast-food per partito preso, anzi, ogni tanto un hamburger lo mangio volentieri, e pur se McDonald's non è la mia catena di ristoranti preferita, sono rimasto incuriosito dall'inizativa legata al nome di Gualtiero Marchesi, nell'ambito del programma McItaly. Il decano dei grandi cuochi italiani, infatti, ha ideato per l'occasione un dessert, una variante di tiramisù chiamata Minuetto, e due diversi panini, il Vivace (disponibile dal 5 al 25 ottobre), e l'Adagio (che si potrà ordinare dal 26 ottobre al 15 novembre).
Dopo una breve attesa in coda, arriva il mio turno alla cassa: prendo un menù classic, che oltre al Vivace comprende le patatine fritte e la Coca-Cola. Inoltre, con l'aggiunta di 2 euro (invece di 2,50), aggiungo il dessert Minuetto. Una volta accomodato su di un tavolino, apro la scatolina di cartone del panino, e con piacere scopro che in fondo, a differenza di quanto spesso accade, non è poi così differente dalle foto di still life che campeggiano sopra il bancone del ristorante. Non pago, però, voglio esaminare l'interno, quindi rimuovo la metà superiore del pane, e posso constatare che c'è tutto quello che era stato promesso: senape in grani, spinaci saltati e bacon, oltre alla carne, ovviamente. A voler essere proprio pignoli gli spinaci non sono molti e non bastano a ricoprire interamente l'hamburger, ma è un dettaglio. Ricompongo il panino e mi appresto al primo morso, scoprendo che il pane, arricchito da semi di girasole, è più compatto e fragrante di quello abitualmente servito da McDonald's, uno a zero per Marchesi. La verdura si sente eccome, e la senape, decisa e gustosa, è sicuramente la nota più positiva della ricetta. Peccato per il bacon, che non è affatto croccante (uno ad uno). Dopo aver mangiato le patate fritte, è il turno del Minuetto, un interessante tiramisù realizzato col panettone al posto dei savoiardi: la crema è soffice e spumosa, e l'utilizzo del tipico dolce natalizio ne rende intrigante la consistenza. Buono, due ad uno per lo chef. Fine primo tempo.

McDonald's
Gualtiero Marchesi

mercoledì 27 aprile 2011

Il sale non è mai abbastanza (Spigola alla piastra di sale)




Il sale è quel pezzo di mare che non è voluto tornare al cielo. (Tomaz Kavcic)

La piastra di sale è l'elemento centrale della cucina dello chef sloveno Tomaz Kavcic. Una tecnica di cottura relativamente semplice e veloce, per rendere il pesce (ma anche la carne) morbido e saporito.



Ingredienti, per 2 persone:

• una spigola
• 1½ Kg di sale grosso
• prezzemolo
• salvia
• rosmarino
• aneto
• timo
• alloro
• pepe rosa
• olio evo


Musica: I Was Submerged – Tulsa (2007)
Vino: Chardonnay, Terre di Chieti, Cantina Tollo (Abruzzo)


Preparazione:

Per prima cosa, bisogna preparare l'infuso che servirà ad irrorare la piastra di sale. Le possibili combinazioni tra le diverse erbe aromatiche sono pressoché infinite e variano a seconda del gusto personale: per questa ricetta si possono utilizzare prezzemolo, salvia, rosmarino, aneto, timo, alloro e bacche di pepe rosa, che dovranno essere infuse in acqua calda per circa mezz'ora. Trascorso tale tempo, filtra l'infuso e tieni da parte le erbe. A questo punto passiamo alla preparazione della piastra: versa il sale grosso in una teglia (va bene anche una di quelle d'alluminio usa e getta), unisci le erbe recuperate dall'infuso e sminuzzate, e livella il tutto fino ad ottenere uno strato uniforme e dalla superficie piatta, dello spessore di circa 3 centimetri. Posiziona la piastra sulla griglia già calda, ed aspetta almeno 20 minuti affinché raggiunga la temperatura di cottura, bagnando di tanto in tanto con l'infuso di erbe aromatiche, con l'aiuto di un vaporizzatore. Nel frattempo, pulisci e sfiletta la spigola. Una volta che la piastra di sale sarà ben calda ed il sale si sarà compattato, cuoci i filetti di spigola per circa 6 minuti per lato, e servili su dei crostini di pane, condendo esclusivamente con un filo d'olio extra-vergine d'oliva.


martedì 26 gennaio 2010

Amatriciana o carbonara? Tutt’e due! (Ravioli misti di amatriciana e carbonara con guanciale croccante)




Amatriciana o carbonara? Ispirandomi liberamente alle creazioni di due grandi chef, Cristina Bowerman dell'Hostaria Glass, ed Heinz Beck de La Pergola, ho tentato di risolvere il dilemma spostando i due diversi condimenti all'interno di ravioli di pasta all'uovo, e li ho serviti insieme, nello stesso piatto.
In fondo al post, trovate anche una variazione sul tema, preparata utilizzando il ripieno per i ravioli alla carbonara avanzato...

Ingredienti per persona, per il ripieno all’amatriciana:

• 40 g. circa di passata di pomodoro
• 30 g. circa di guanciale
• cipolla
• olio evo
• sale
• pepe


Ingredienti per persona, per il ripieno alla carbonara:

• uova (un uovo intero ed un tuorlo ogni tre persone)
• 30 g. circa di guanciale
• pecorino romano grattugiato
• farina q.b.
• cipolla
• olio evo
• sale
• pepe


Ingredienti per persona, per la pasta:

• 100 g. di farina
• un uovo
• sale


Ingredienti per persona, per il condimento:

• cipolla
• olio evo
• sale
• 20 g. circa di guanciale
• pecorino romano grattugiato


Musica: Heligoland – Massive Attack (2009)
Vino: Torreto Velletri, Cantine Co.Pro.Vi (Lazio)


Preparazione del ripieno di amatriciana:

Fai soffriggere la cipolla tritata in poco olio evo, quindi unisci il guanciale, fallo rosolare per qualche minuto, e passa il tutto nel mixer frullando grossolanamente. Per risparmiare tempo, conviene preparare anche il guanciale per il ripieno di carbonara, in modo da averlo già pronto quando sarà il momento di mescolarlo alle uova battute. A questo punto, metti la metà del composto ottenuto nella padella, aggiungi la passata di pomodoro, regola di sale e pepe, e fai andare fin quando il sugo non si sarà ristretto.


Preparazione del ripieno di carbonara:

Metti le uova, il parmigiano, il pecorino, il sale ed il pepe in un contenitore a bagnomaria, e mescola con una frusta, o con una forchetta. Ora unisci un poco alla volta la farina, quanta ne basta per far addensare il composto, rimestando continuamente. A questo punto aggiungi la seconda metà del guanciale soffritto e frullato precedentemente, ed amalgama il tutto.


Preparazione della pasta:

Prendi una ciotola, mettici la farina, le uova, un pizzico di sale, ed impasta il tutto, aiutandoti se necessario con poca acqua fredda. Una volta che il composto sarà divenuto omogeneo, lascialo riposare in frigo per almeno mezz’ora, dopodichè lavoralo nuovamente e stendilo con un matterello su di un piano infarinato, fino ad ottenere una sfoglia sottile ma non troppo. A questo punto, ritaglia la pasta con uno stampo, spennellala con del rosso d’uovo, farciscila con i ripieni di amatriciana e carbonara, e richiudi bene il raviolo con la punta di una forchetta. Se vuoi differenziare i due gusti, usa dei coppapasta diversi (ad esempio tondo per l’uno e quadrato per l’altro), mentre se vuoi dare al piatto un effetto sorpresa (a chi tocca nun se n'grugna, si dice a Roma) usa la stessa per entrambi i ripieni. Una volta terminata l’operazione, disponi i ravioli su un piano ben infarinato, per evitare che si attacchino.



Preparazione del piatto:

Lessa i ravioli in abbondante acqua salata, fin quando non verranno in superficie (3 o 4 minuti circa). Nel frattempo, metti il guanciale tagliato a pezzi (o a listarelle) in forno per 5 minuti a 180°, e fai soffriggere la cipolla tritata in una padella con abbondante olio evo. Non appena i ravioli saranno cotti, falli saltare velocemente nel soffritto, impiattali, e servili immediatamente guarnendo col guanciale e spolverando con del pecorino romano grattuggiato.


Appendice

Carbonara solida (Tortino di carbonara)



Era la prima volta che cucinavo questa ricetta di pasta, perciò le dosi sono state fissate in corso d'opera, e così mi sono ritrovato con del ripieno alla carbonara in eccesso. Ho deciso così di metterlo in uno stampino per dolci, e cuocerlo in forno a 180° per circa 20 minuti: il risultato, devo dire, non è stato affato male, anzi...

giovedì 2 aprile 2009

Assaggi: Pizzarium




Qualche giorno fa, mentre ascoltavo la radio, ho sentito lo speaker parlare di una pizzeria al taglio in Via della Meloria, definendola la migliore della città. E così, visto che mi trovavo proprio da quelle parti, ho deciso di farci un salto. Il locale è piccolo, e c'è parecchia gente in fila per essere servita, buon segno. Inganno il tempo cercando un biglietto da visita, e quando leggo Bonci realizzo che si tratta dello chef specializzato in panificazione che una forniva il pane (squisito) al Bir & Fud a Trastevere: comincio davvero a crederci, che questa sia una pizzeria speciale. Arriva il mio turno, e proprio mentre ordino un pezzo di pizza con le patate, dal forno arriva un'invitantissima torta salata al tonno e cipolla, così bella che sembra una crostata. Naturalmente mi lascio tentare, e ne prendo una fetta. E se la forma è attraente, la sostanza è altrettanto appagante: l'impasto della pizza è fragrante e gustoso, la torta croccante e saporita. Niente male. Decido quindi di tornarci più tardi, per condividere con Tyler queste prelibatezze. Nonostante sia quasi ora di chiusura, c'è ancora una discreta scelta, ma in ogni caso mi oriento sui classici: margherita, pomodoro, zucchine. E mentre sono lì che aspetto il mio vassoio per la cena, dalla cucina esce un gigante, con indosso la giacca da cuoco: si tratta proprio di Gabriele Bonci, che si ricorda di avermi visto già qualche ora prima, e mi offre un filetto di baccalà panato in crosta di semi di pistacchio, che non sfigurerebbe affatto su un piatto da portata, come starter in un ristorante di cucina creativa... Dopo aver scambiato due chiacchiere amichevoli, me ne vado col mio prezioso bottino di pizza: non si può certo affermare infatti che il conto sia economico, d'accordo, ma se è vero che la qualità si paga, il Pizzarium ne è un esempio perfetto.

• Pizzarium Bonci (Via della Meloria, 43 - Roma)

giovedì 13 novembre 2008

Assaggi: Cous Cous Ramy




La nostra amica ci parlava da tanto tempo di questo posto. Sopra la porta d’ingesso c’è una targa che ricorda che Alfonso aprì il locale, uno dei primi ristoranti etnici a Roma, nel 1967. Ramy è il figlio di Alfonso, ebreo di Libia, e ne porta avanti la tradizione della preparazione del cous cous secondo i dettami kasher. L’arredamento è molto semplice, con qualche concessione alla cultura ed all’estetica nordafricana, ma senza esagerazioni. L’atmosfera è tranquilla, la luce quella giusta. Non ordiniamo neanche: Tyler ed io siamo ospiti, e sono lo chef Ramy e sua moglie in persona a servirci. Fuori piove e c’è freddo, perciò cominciamo con una zuppa d’orzo calda, saporita e speziata. Poi assaggiamo dell’ottimo tonno affumicato, servito su un letto di ortaggi, ed un classico humus, che mangiamo con del pane arabo. Quindi Ramy ci serve la portata regina, il cous cous, accompagnato da tre diversi condimenti: delle patate appena piccanti dall’aroma molto particolare, della tenerissima carne di vitella kasher con i fagioli, ed un misto di verdure ed ortaggi. Ottimo ed abbondante. Su prezioso consiglio della nostra amica, che qui è di casa, ci tratteniamo e cerchiamo di bere poca acqua, altrimenti nello stomaco il grano si gonfia e ti senti sazio all’istante… E così ci godiamo tutto fino in fondo, tanto che quando lo chef ci delizia con il dessert, siamo ancora in gran forma: sulla nostra tavola arriva un tipico dolce libico fatto di miele e frutta secca, accompagnato da spicchi di mandarino e da un piccolo cannolo croccante con la panna, da gustare con del tè alla menta. Il clima è conviviale ed amabilmente conversiamo a proposito delle ballerine della danza del ventre che si esibiscono qui nel fine settimana. Quanto al conto, come dicevo, Tyler ed io siamo ospiti, ma i prezzi del menù fisso sono a dir poco onesti.

Cous Cous Ramy (Via Brescia, 23 - Roma)

sabato 18 ottobre 2008

Assaggi: Al Ponte della Ranocchia




Siamo andati a cena da queste parti, Tyler ed io, perché avevamo in programma di andare ad un concerto al Circolo degli Artisti, e non volevamo attraversare la città in lungo ed in largo. Così ieri pomeriggio ho effettuato una breve ricerca su internet per trovare un posto in zona San Giovanni, e dopo giusto un paio di click mi sono lasciato conquistare dalle recensioni che ho letto a proposito del Ponte della Ranocchia. Il nome, in realtà, non m’ispirava granchè, ma i commenti positivi e la selezione dei piatti sì, eccome. Quindi chiamo e prenoto. Il locale è piccolo, magari non bellissimo, ma molto colorato ed accogliente: anche i bicchieri, i portacandele ed i menù caratterizzati da grandi bottoni arancioni come le pareti sono tutti all’insegna dell’allegria e della tranquillità. Veniamo accolti con un appetizer di benvenuto, un piccolo crostino al pecorino e cicoria, che assaggiamo volentieri. Come antipasto scegliamo fiori di zucca al forno con robiola verde e crostini con patè di prosciutto cotto, che accompagniamo con un bicchiere di dolcetto d’Alba. Ottimi davvero i fiori, morbidi ma consistenti; buono il patè, che ha l’unica pecca di essere stato servito troppo freddo. Per primo prendiamo chicche (che poi sarebbero degli gnocchi) di patate con crema di peperoni e provola affumicata ed una porzione di lasagne al pesto con verdure e pinoli, che ci vengono serviti direttamente dalla chef, che ha modi gentili ed uno sguardo appassionato. La lasagna è strepitosa, croccante in superficie e morbida all’interno, saporita e delicata al tempo stesso. Anche le chicche non sono niente male. Le portate poi sono presentate in modo molto curato, ma comunque informale e spiritoso. Per finire ordiniamo dei dolci: ci vuole un bel po’ perché arrivino, ma la finestra che dalla sala si apre sulla cucina ci mostra che vengono preparati sul momento, e quindi aspettiamo di buon grado. Crostata di fragole, leggera e gustosa, ed un originale pan di banana con cioccolato fuso, anche questi serviti dalla sorridente Rospa in persona. Un piacere. Che dire? Un ristorante molto carino, creativo ma non impegnativo, ideale per passare una serata serena e divertente. Il tutto per poco più di 35 euro a persona.

• Al Ponte della Ranocchia (Circonvallazione Appia, 29 - Roma)

domenica 31 agosto 2008

Assaggi: Re Burlone




In giro dalle parti della Sabina, su precisa indicazione del signor Fiorelli, un’autorità da queste parti, il mio amico Tyler ed io c’incamminiamo verso Castel S. Pietro, borgo medievale arroccato dalle parti di Poggio Mirteto, alla ricerca del Re Burlone, uno dei migliori ristoranti della zona, a quanto pare. La prima impressione è decisamente favorevole: il locale occupa un palazzetto dell’undicesimo secolo, e giusto attraversando una stradina, c’è una splendida terrazza che domina letteralmente la valle della Sabina. Incantevole. Una signora gentilissima ci fa accomodare proprio al riparo di uno splendido ulivo, e ci illustra i piatti del giorno non compresi nel menù. Ordiniamo un vino locale, un merlot Togale Fontana Candida, e per cominciare prendiamo uno strudel di verdure, servito su un letto di pesto, davvero ottimo. Poi si passa ai primi: per Tyler fettuccine fatte in casa condite con una carbonara di verdure; per me dei ravioli di pasta povera (solo acqua e farina, quindi) ripieni di cinghiale e porcini, al burro e salvia. Entrambi i piatti sono di gran livello, ma le fettuccine artigianali meritano proprio una menzione speciale. Forse è l’aria fresca di questa splendida serata sabina, ma ho ancora fame, e mi lascio tentare dall’anatra in confit con salsa di foie gras, servita assieme ad un tortino di cicoria appena piccante: eccezionale anche questo. Il signor Fiorelli ci ha consigliato bene, non c’è che dire. Ma per esserne davvero sicuri, assaggiamo anche i dessert, andando sul classico: soufflè di cioccolato su letto di crema, e millefoglie alla crema chantilly e frutti di bosco. Una degna conclusione. Sarà perché ci manda il signor Fiorelli, ma il conto è tutt’altro che salato, anzi. Prima di andare, la signora gentile ci presenta Luca, lo chef, rubicondo e cortese. A vederlo, si capisce perché la cena sia stata buonissima.

Re Burlone (Via di Circonvallazione, 23 - Castel S. Pietro, Poggio Mirteto, Rieti)

domenica 23 marzo 2008

Assaggi: Glass Hostaria




Era tanto tempo che volevo andarci, ma per un motivo o per l’altro non era mai capitata l'occasione. In effetti anche ieri sera il mio amico Tyler ed io dovevamo andare altrove, ma il ristorante che avevamo scelto era chiuso, e così ho pensato: andiamo al Glass. Il posto è in Trastevere, è sabato e piove, tuttavia troviamo parcheggio subito ed arriviamo in perfetto orario. L'Hostaria sorge dove prima si trovava una libreria d'arte, e ne mantiene lo stile newyorkese, minimale e ricercato. Veniamo accolti in modo gentile ed informale, ed il personale ci chiede se vogliamo lasciare i soprabiti, come farebbero degli amici in casa. Scegliamo un tavolo sul soppalco, dove la luce è più bassa ed intima. Aspettiamo un po' per le ordinazioni, ma solo perchè Riccardo (se non ricordo male), presumibilmente il proprietatrio del ristorante, ci accoglie personalmente. Ordiniamo il vino, un ottimo Lagrein del 2005 di Elena Walch, e nel frattempo ci viene servito un'invitante entrée, del roast-beef in crosta di caffé con microverdure e muffin ai semi di papavero. Da lì in avanti i tempi del servizio sono perfetti, ed ogni portata che arriva sul nostro tavolo, compresa la vasta selezione dei pani, viene appassionatamente spiegata dal personale. Per antipasto mangiamo delle deliziose animelle in crosta di semi di girasole, ed un gustoso hamburger di foie gras, che forse, paradossalmente, avrei preferito accompagnato da vere patatine, invece che da chips di riso. Ma è solo un croccante dettaglio. Come primo scelgo delle mezzelune ripiene di amatriciana (eccezionali: l'idea di spostare il condimento all'interno della pasta è semplice ed efficace) mentre Tyler prende un filetto, di ottima qualità, accompagnato da sfiziosi porri fritti. Le porzioni sono discretamente sostanzione: non degli assaggini come sempre più spesso capita nei ristoranti di cucina creativa. Il pasto si conclude trionfalmente con un tortino di ovomaltina, che ha proprio quel sapore che mi ricorda quand'ero bambino, e la salsa al caramello è così buona da emozionarmi. Proprio alla fine, l'unica nota un po' stonata, per quanto argomentata con la consueta dedizione, di questa serata: al Glass Hostaria, per questioni pratiche ed olfattive, non servono caffé. Meno male che proprio qui di fronte c'è un buon bar... Spendiamo circa 50 euro a testa, un prezzo medio alto, certo, ma tutto sommato più che giustificato per la qualità dei piatti e la passione profusa nel servizio.

Glass Hostaria (Vicolo del Cinque, 58 - Roma)